Depressione e neuroscienze – Introduzione alla Psicologia

Nel trattamento della depressione è importante indurre anche piccoli cambiamenti nella vita delle persone perché è così possibile facilitare alcune modificazioni sull’attività neurotrasmettitoriale e cambiamenti positivi a livello neurale che si traducono in un miglioramento della qualità della vita.

Realizzato in collaborazione con la Sigmund Freud University, Università di Psicologia a Milano

Messaggio pubblicitario San Giorgio fino al 15 Luglio La depressione è una patologia caratterizzata da umore depresso e anedonia. Per il depresso tutto sembra aver perso valore e significato e la vita stessa non merita di essere più vissuta, prevale un senso di disperazione, vuoto, mancanza di piacere e motivazione nel fare le cose che prima destavano interesse e soddisfazione, scarsa energia e stanchezza. Le persone depresse, spesso lamentano anche problemi legati al sonno e all’appetito, scarsa concentrazione, e si sentono in un vortice di pensieri autovalutativi negativi e ripetitivi (ruminazione): si crea una sorta di spirale di pensieri a contenuto negativo, volti a raggiungere un picco di tristezza che, nel lungo periodo, diventa una condizione permanente. Quindi, la mente è bloccata in un turbinio di pensieri ricorsivi e svalutativi dai quali difficilmente si riesce a uscire in maniera autonoma.

Neuroscienze e depressione

Da un punto di vista neuropsicologico le aree principalmente coinvolte nella depressione sono 
le aree prefrontale, il cingolo anteriore e il sistema limbico, collegati da una serie di circuiti a essi correlati (Beevers, 2005).

La corteccia prefrontale è principalmente coinvolta nell’esecuzione delle funzioni superiori e nel controllo degli impulsi. Studi di neuroimaging rilevano che nella corteccia frontale dei depressi vi sia meno densità gliale (Havekes & Abel, 2017; Samara et al, 2018). Inoltre, la parte orbitofrontale laterale risulta essere esclusa dal meccanismo delle gratificazione determinando, di conseguenza, il senso di perdita e di delusione vissuti dai depressi. Questa area essendo anche coinvolta nel processamento della percezione di se stessi, nel depresso genera il senso di perdita personale e la scarsa autostima (Disner, Beevers, Haigh, & Beck, 2011).

Inoltre, la corteccia del giro cingolato anteriore dorsale è ipoattiva, quella rostrale, al contrario, è iperattiva. Queste attivazioni, dunque, deriverebbero dalla gestione dello stato affettivo che un depresso mette in atto in risposta alle richieste dal contesto ambientale (Elliott, Rubinsztein, Sahakian, & Dolan, 2002). Il giro cingolato anteriore stimola, a sua volta, il lobo frontale a intervenire nell’ulteriore elaborazione del processo emotivo, ma a causa dell’ipoattività lo stato emotivo non è risolvibile e permane l’umore depresso (Hamilton, & Gotlib, 2008).

Un altro sistema coinvolto è il sistema limbico, sede dell’affettività e delle emozioni (Redlich et al., 2018). Nei pazienti depressi si determina una disfunzione dell’ippocampo nell’elaborazione di risposte affettive adeguate al contesto ambientale, che spesso risultano inappropriate. Inoltre, l’amigdala è implicata nell’apprendimento e nella rievocazione di ricordi a contenuto emozionale, per cui un’eccessiva stimolazione da parte dell’amigdala delle aree corticali deputate all’elaborazione dei ricordi è alla base del continuo ruminare dei depressi (Keedwell, Andrew, Williams, Brammer, & Phillips, 2005). 

È stato individuato un modello integrato, strutturale e funzionale, della depressione secondo il quale una patologia neurologica oppure fattori genetici possono determinare una disfunzione di una o più componenti neuroanatomiche dei circuiti implicati nella genesi della depressione e indurre quindi una sindrome depressiva maggiore (Victor, Furey, Fromm, Öhman, & Drevets, 2010). 
Nella depressione, ciò che risulta non funzionare bene, dunque, è la comunicazione e l’interazione tra la corteccia prefrontale e il sistema limbico: la corteccia prefrontale, dovrebbe regolare l’emotività e l’impulsività innescate dal sistema limbico. Quindi, una riduzione di connettività nelle aree coinvolte nei meccanismi di formazione e rievocazione della memoria, quali il lobo temporale mediale e il giro paraippocampale, non consente il normale svolgimento delle funzioni e da qui si genera la ridotta capacità di concentrarsi sui ricordi felici e la focalizzazione solo su ricordi tristi tipici della depressione (Mayberg, 2003).

Messaggio pubblicitario NETWORK CLINICA La depressione, infine, deriverebbe da due processi chiave, il primo relativo ai bias cognitivi ed il secondo al diminuito controllo cognitivo (Disner, Beevers, Haigh, & Beck, 2011). Il primo rispecchia un processo bottom-up che origina dall’iperattività del sistema limbico che poi proietta l’informazione alla corteccia frontale e prefrontale. Si ottiene, di conseguenza, una risposta funzionale agli stimoli emotivi amplificata, che influenza la capacità di interpretare le informazioni. Il secondo deriverebbe invece da un’ipoattività del sistema top-down regione-specifico volto a inibire l’attivazione eccessiva delle aree cerebrali relative al processamento emotivo e quindi permetterebbe la perseverazione dell’attività bottom-up disfunzionale (Siegle, Steinhauer, Thase, Stenger, & Carter, 2002).

Neurotrasmettitori

L’insorgere della depressione dipende anche dall’azione di un numero molto ampio di neurotrasmettitori, che generalmente sono rilasciati dal cervello e svolgono diversi tipi di funzioni (Korb, 2015). Quando alcuni di questi neurotrasmettitori non funzionano come dovrebbero si possono osservare alcuni sintomi tipici della depressione. In particolare, la depressione è determinata dalla presenza di bassi livelli di noradrenalina, serotonina o dopamina. Quindi, agire in tal senso agevola la risoluzione del problema (Redlich, et al., 2018).

Uno dei sintomi più comuni della depressione è la scarsa qualità del sonno. Un sonno non riposante peggiora il tono dell’umore, diminuisce la soglia del dolore e interferisce con i processi di apprendimento e memoria (Havekes & Abel, 2017). Di conseguenza, si è meno concentrati, più irritabili e marcatamente stanchi. A livello cerebrale, la mancanza di sonno ha delle ripercussioni negative a livello della corteccia prefrontale e dell’ippocampo, e scompensa i livelli di serotonina, di dopamina e di noradrenalina.

Conclusioni

Per concludere, se si apportassero dei piccoli cambiamenti nella vita si otterrebbero, di conseguenza, delle modificazioni sull’attività neurotrasmettitoriale e cambiamenti positivi a livello neurale, che si traducono in modificazioni dell’attività elettrica del cervello. Questi cambiamenti determinano un miglioramento della qualità della vita, ovvero maggiore livelli di serotonina.

Quando l’ippocampo riconosce che il contesto è cambiato, allora stimola la corteccia prefrontale a trovare nuove risposte e il circuito, la spirale negativa, inizia a invertire marcia producendo, a catena, uno stato di nuovo benessere. Tutto questo è possibile ottenerlo grazie anche all’ausilio della psicoterapia e, in alcuni casi, dei farmaci.

Realizzato in collaborazione con la Sigmund Freud University, Università di Psicologia a Milano

Sigmund Freud University - Milano - LOGORUBRICA: INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA

Consigliato dalla redazione

Bibliografia

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