La psicologia comportamentale, o comportamentismo, si è sviluppata a partire dai primi del Novecento ad opera di John Watson con la pubblicazione dell’articolo Psychology as the Behaviorist Views It su Psycholigical Review (1913).
Realizzato in collaborazione con la Sigmund Freud University, Università di Psicologia a Milano
Messaggio pubblicitario Secondo questo approccio tutto ciò che è manifesto o osservabile rappresenta l’unica unità di analisi o di studio poiché immediatamente riscontrabile e riconoscibile. Il comportamento, dunque, è la risultante di uno stimolo ambientale ed immediatamente riscontrabile, per questo è oggetto di studio da parte della ricerca empirica e sperimentale. Quindi, è possibile rilevare come in presenza di una serie di stimoli esterni si verificano determinate risposte, ovvero i comportamenti.
In generale, è possibile affermare che il comportamentismo si oppone in maniera drastica al metodo introspettivo e al concetto stesso di coscienza all’epoca vigente.
Watson e l’esperimento del piccolo Albert
Watson, principalmente, affermava che il comportamento manifesto è la sola unità di analisi scientificamente studiabile da parte della psicologia, poiché i processi interni della mente umana, essendo non percepibili dall’osservatore esterno, non possono essere considerati oggetto di analisi scientifica. Quindi, tutto quello che si trova nell’ambiente è il prodotto del mondo interno e cerebrale, per questo dall’osservazione del comportamento è possibile inferire anche il funzionamento cerebrale.
Watson per dimostrare la veridicità del comportamentismo ha realizzato diversi esperimenti, tra cui il più noto è l’esperimento con il piccolo Albert, utilizzato per dimostrare come la paura sia la conseguenza di un condizionamento di tipo ambientale. Secondo Watson era possibile studiare l’evoluzione dell’emozione in modo sistematico attraverso l’osservazione derivata da uno stimolo.
L’esperimento consisteva nel verificare se un suono potesse elicitare paura nel bambino in seguito all’esposizione a un forte rumore. Successivamente, al rumore fu associato uno stimo neutro, come il topo bianco, condizionando, di conseguenza, Albert che quando, in seguito, vedeva un topolino o altri animali dal pelo bianco, iniziava a piangere atterrito dalla paura. Quindi, il comportamento del bambino era condizionato da uno stimolo ambientale, indotto dal ricercatore, cui seguiva una risposta emotiva che diventava, a furia di essere ripetuta, automatica o condizionata.
Il condizionamento
In particolare col termine condizionamento si è soliti indicare il meccanismo in base al quale si crea un’associazione tra uno stimolo neutro, ad esempio un suono, con una risposta non correlata direttamente, come paura o pianto.
L’esperimento si riferisce agli studi di Pavlov (1849-1946), fisiologo russo che, partendo dalla regolazione delle ghiandole digestive, ha individuato il meccanismo del condizionamento classico, attraverso l’analisi approfondita del fenomeno della secrezione psichica: alla sola vista del cibo, le ghiandole del cane iniziano a funzionare, ma la secrezione terminava una volta sottratto lo stimolo visivo. Negli esperimenti di Pavlov, infatti, al suono del campanello, cui segue la presenza del cibo, si attiva la salivazione del cane, come risposta condizionata al solo suono. La salivazione sarebbe, dunque, una risposta incondizionata al cibo stesso, stimolo diretto o naturale, ma non al campanello, indipendentemente dalla presenza reale della carne all’interno del setting sperimentale.
Messaggio pubblicitario Tra i principali esponenti storici del comportamentismo è necessario citare Skinner, a cui è riconosciuta la paternità del principio di condizionamento operante. Skinner individua nel rinforzo un elemento utile da aggiungere al comportamento agito. Per questo, se alla risposta segue un rinforzo specifico, questa risposta si presenterà con una frequenza sempre maggiore, invertendo gli assunti di Pavlov: lo stimolo precedeva la risposta. Secondo Skinner, dunque, il comportamento si distingue tra rispondente, appreso per condizionamento classico o operante, la cui occorrenza dipende dal tipo di rinforzo ricevuto dall’organismo.
Il comportamentismo nella pratica clinica
I clinici più importanti che applicarono i principi comportamentali al trattamento dei sintomi e dei disturbi psichici furono Wolpe, ideatore della tecnica chiamata desensibilizzazione sistematica, Eysenck, autore di un’importante teoria dei tratti di personalità e Bandura, ideatore della teoria dell’apprendimento sociale. Si tratta di tecniche che storicamente hanno come riferimento il paradigma del condizionamento e si focalizzano sulle variabili comportamentali che mantengono una determinata sintomatologia psichica.
Ad esempio, è possibile ottenere l’estinzione di una risposta ad un determinato stimolo, attraverso un nuovo condizionamento, grazie alla desensibilizzazione sistematica. Si tratta di una delle tecniche comportamentali che si riferiscono al paradigma del condizionamento ed è una delle pratiche terapeutiche usate principalmente per i disturbi fobici. In terapia, solitamente dopo un training di rilassamento progressivo, che calma il paziente, si chiede di immaginare una serie di situazioni che provocano ansia. In questo modo il rilassamento tende ad inibire l’ansia, che altrimenti sarebbe elicitata dalle scene immaginate, e di conseguenza si chiede al paziente di percorrere mentalmente le immagini ansiogene. Se durante l’immaginazione di una scena subentra l’ansia, il paziente la segnala al terapeuta, che a sua volta tende a ristabilire il rilassamento e a tornare ad immaginare la scena precedente a quella che ha prodotto l’ansia. Lo scopo è imparare a tollerare l’immagine stressante, non solo a livello immaginativo/mentale, ma anche e soprattutto nella vita reale.
Lo psicoterapeuta comportamentale, in generale, si occupa principalmente del comportamento appreso nel contesto ambientale in cui la persona ha vissuto e nel quale ha realizzato le proprie esperienze di vita. Lo scopo, dunque, è portare i pazienti a modificare attivamente i propri comportamenti disadattavi, utilizzare strategie di coping per fronteggiare e gestire le difficoltà e agire attraverso le nuove competenze acquisite. Tutto questo serve per ridurre e gestire le emozioni negative, i sintomi e i disagi presentati. Inoltre, prima di ogni intervento, si esegue un’analisi funzionale del comportamento, grazie alla quale è possibile avere una descrizione dettagliata del comportamento, degli stimoli ed eventi che lo determinano e lo mantengono, per giungere a una sua misurazione obiettiva e comprenderne lo scopo e il significato. Dell’intera analisi, l’aspetto più importante è il comportamento disadattivo che costituisce l’oggetto della terapia e per questo dovrà essere modificato attraverso il trattamento.
Realizzato in collaborazione con la Sigmund Freud University, Università di Psicologia a Milano
RUBRICA: INTRODUZIONE ALLA PSICOLOGIA
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Bibliografia
- Watson, J.B. (1913). Psychology as a behaviorist view, Psychological review, 20, 2, 158-177.
- Watson, J.B. (1930). Behaviorism (revised edition). University of Chicago Press.
- Neil, R., Carlson, H., Donald, C., Miller, H., Donahoe, J.W., Buskist, W., Martin, G. N. (2007). Psychology: The science of behavior. Pearson Education, Incorporated.
- Gilbert, P., Leahy, R.L. (2009). La relazione terapeutica in terapia cognitivo comportamentale. Eclipsi.