Lectio Magistralis con D. Freeman: virtual reality in the assessment, understanding and treatment of mental health disorders – Report dall’European Conference on Digital Psychology – ECDP 2021

Quando parliamo di realtà virtuale o artificiale rispetto a quella fisica e concreta siamo proprio sicuri che è evidente la separazione di significati? E per il nostro cervello tale distinzione (fisico/virtuale) è sempre chiara?

Introduzione

Messaggio pubblicitario Possiamo parlare di intelligenza artificiale e intelligenza naturale certi di comprendere che si tratti nel primo caso di macchine, nel secondo di esseri umani; ma quando parliamo di realtà artificiale o virtuale rispetto a quella fisica e concreta siamo proprio sicuri che, come nella circostanza appena descritta, è evidente la separazione di significati? E per il nostro cervello tale distinzione (fisico/virtuale) è sempre chiara?

Il processo per cui la realtà virtuale (un’olonimia di quella fisica) si realizza in esplicito è analogo a quello implicito per cui la realtà si forma dall’immagine mentale.

Nelle rappresentazioni abbiamo una peculiarità unica: con le immagini sperimentiamo un presente percepito, un passato ridato, un futuro da costruire.

Per quanto concerne il passato avviene per merito di “condizionamenti”, per cui le immagini sono catturate dal pathos, dalle impressioni. È un condizionamento nell’esistenza umana, ciò che Dewey, denominò «situazione» che consiste nella fusione tra il principio personale di ogni essere umano e il complesso dei dati biologici e ambientali. Ciò significa che ciascuno, nel formarsi, sviluppa un sistema personale di immagini che condiziona la sua identità.

La questione diventa più complessa se consideriamo le parole di J.F.Herbart in cui

la vita reale è un intreccio di rappresentazioni

e, in questa sede, possiamo affermare che, per il nostro cervello, tale intreccio coincide con le rappresentazioni virtuali o artificiali dei dispositivi tecnologici, con quelle della realtà concreta e con le rappresentazioni di ciò che siamo in grado di immaginare (costruire cose o luoghi mai visti) o ricordare…comprese le distorsioni (in ogni situazione “ricordiamo il ricordo”).

Il trattamento terapeutico con la Realtà Virtuale (RV) è possibile non già da una intrinseca proprietà enigmatica della macchina, ma dalla particolarità del nostro cervello di “non distinguere tra una realtà immaginata ed una concretamente vissuta”, o meglio, solo una piccola porzione (il lobo frontale) ci suggerisce che “il virtuale non è reale”, ma si tratta di una vocina in mezzo ad un bouquet di voci (la parte restante del nostro cervello) grida il contrario! Possiamo dire che si tratti di una realtà “chiara e confusa” (conscio/inconscio) allo stesso tempo…

Altresì, una seconda questione, riguarda i principi superiori fino a quelli inferiori della mente umana, il trauma (e.g. uno stupro) o particolari patologie del mentale (e.g. paranoia) non sono altro che “abitudini intellettive contratte”, con il ripetersi continuo dello stesso processo, ad infinitum. Ed è inutile aggiungervi che, in una simile visione, non c’è posto alcuno per il libero arbitrio poiché, il nostro sistema (mente-corpo) che nel tentativo di accordarsi, diverge.

La RV ha il vantaggio del “distacco” dal plasma alimentatore totale (il corpo) e il vantaggio di salvaguardare la proprietà fisica mediante quella mentale.

Indebolire la «présentification», ovvero disassimilizzare e sostituire vecchie abitudini è possibile se consideriamo che queste ultime sono “estese” nell’ambiente.

La RV permette una “dissolvenza” organica per cui la mente nell’immaginare, vive.

Applicazioni della RV in ambito terapeutico

Questa personale sintesi segue la eco delle parole di Daniel Freeman pronunciate nella sua Lectio Magistralis alla European Conference on Digital Psychology:

le nostre menti si estendono nel computer e uno dei modi in cui lo facciamo è attribuibile all’utilizzo di questi strumenti; li usiamo come aiuti della memoria. Così il mondo è “accoppiato” con la nostra mente. Come ci comportiamo è influenzato enormemente da queste connessioni ed in quest’ultime che risiede anche la nostra salute mentale. Quando si parla di connessioni ci si riferisce agli ambienti (lavorativo, familiare, amicale, etc.). Il problema principale nella terapia dei disordini psicologici è che la cura non viene effettuata nell’ambiente in cui la persona genera comportamenti disabilitanti: bere alcolici nel bar; sospettare di qualcuno quando siamo insieme a tante persone (paranoia); aver paura dei luoghi chiusi (claustrofobia) e così via. Sono disagi che avvengono in relazione al contesto in cui ci troviamo.

Daniel Freeman - Foto

Molto promettente l’utilizzo della RV, secondo Freeman, per “guidare” e operare con il paziente in quell’ambiente.

Messaggio pubblicitario Quando immergiamo l’individuo in quest’ultimo egli sente, percepisce e pensa in base a quell’ambiente. La questioni ha radici, certamente, in una delle scoperte più grandi della psicologia sociale: molti dei nostri comportamenti sono stabiliti in base all’ambiente in cui ci troviamo.

Una duttilità assimilatrice del contesto che la realtà virtuale può cogliere e riprodurre fedelmente: far coincidere la cura (identità del trattamento) nell’ambiente in cui si esprimono le alterazioni comportamentali con “l’incantesimo” dell’esperienza immersiva-interattiva in cui consegue un nuovo apprendimento che verrà migrato nell’ambiente reale.

Dato che la migliore terapia per alcuni casi, afferma Freeman, è

far entrare il paziente nel contesto in cui ha paura e fargli capire che è al sicuro.

Freeman si riferisce in particolar modo al trattamento della paranoia (‘quando pensi che altri individui vogliano farti del male’) in cui può risultare difficile anche per il terapeuta capire – o prendersi la responsabilità – che tali pensieri non siano reali.

L’immersione nella RV potrebbe “smascherare” questo autoinganno, dacché, se il paziente percepisce qualcuno vicino a sé come una minaccia, il pensiero non sarà autentico (considerando che i parametri per formulare questo scenario sono oggettivamente “neutri”).

Tuttavia uno dei potenziali problemi nell’utilizzo di questa metodica è che egli abbia delle resistenze in merito al kit utilizzato per la RV, ovvero che presenti una paranoia nei confronti di  questi strumenti.

Variabili sotto controllo con la RV

Tratti distintivi della paranoia possono essere la bassa autostima: la persona si sente separata dagli altri che percepisce come “diversi”. Una variabile dell’autostima è la statura dell’individuo. Statura e autostima hanno una correlazione positiva (per approdonfimenti Viciullo, 2014).

Nella RV, come in ogni metodo sperimentale, possiamo manipolare delle variabili in modo da osservare in che modo viene modificato il fenomeno osservato. Per fare un esempio, nel caso della paranoia (variabile indipendente) possiamo modificare, per mezzo della RV, l’altezza dell’individuo per poi notare quali effetti genera sulla sua paranoia.

Conclusioni

Da questa interessante lectio magistralis possiamo dire che gli “ambienti influiscono enormemente sul nostro stato psicologico”.

La RV ha prodotto – per disturbi come l’acrofobia o la paranoia – risultati clinici  migliori di quanto ci si aspetterebbe da una terapia face-to-face (Freeman, 2018).

Fattore aggiuntivo è che i pazienti sono stati disponibili ad essere sottoposti a quelle simulazioni – tramite l’utilizzo della RV – che suscitavano stati ansiogeni; erano coscienti che le simulazioni non  sarebbero state reali, ciononostante l’apprendimento ha portato a evidenti effetti positivi comportamentali sul mondo reale (per una rassegna: Freeman, 2019).

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