Il 19 e 20 febbraio 2021 si è tenuta la prima edizione della Conferenza Europea sulla Psicologia Digitale (European Conference on Digital Psychology). L’intervento di apertura della conferenza è stato quello del dott. Bernardelli, del dott. Brighetti e della dott.ssa Borlimi ed ha riguardato la realtà virtuale.
Messaggio pubblicitario Il dott. Bernardelli ha approfondito il tema dell’aumentazione tecnologica nella pratica psicologica, descrivendone le diverse applicazioni e opportunità. Da un lato, infatti, esistono innegabili effetti positivi dovuti all’utilizzo della tecnologia in ambito psicologico, dall’altro, però, vi è l’area di rischio, rappresentata dagli effetti negativi della tecnologia sul nostro cervello.
Ci imbattiamo spesso in nuove nomenclature potenzialmente psicopatologiche collegate al digitale, che forse tra qualche anno troveremo nei manuali dei disturbi mentali. Alcuni esempi sono: l’internet addiction disorder, il technostress, l’attention deficit disorder, il Google effect, la digital amnesia e la nomophobia. È importante per la nostra professione conoscere gli effetti dannosi che dispositivi e piattaforme hanno sul cervello, sui comportamenti e sulle interazioni sociali. In uno scenario così complesso, psicologi e psicoterapeuti dovrebbero essere informati e formati anche su tutte le possibili strategie di coping adottabili dai pazienti gestire l’impatto del sé digitale sul sé reale.
Imm. 1 – Dott. Luca Bernardelli
Tuttavia, la tecnologia non ha solo effetti negativi, ma ha anche dei risvolti positivi: questo costante training mentale a cui siamo costantemente sottoposti, infatti, può condurre allo sviluppo di “inedite abilità near multitasking” e a un rallentamento del declino cognitivo.
È interessante l’adozione nella pratica quotidiana, in particolare in ambito professionale, delle psicotecnologie, che emulano, estendono e amplificano le funzioni sensomotorie, psicologiche e cognitive della mente. È in questo contesto che l’innovazione tecnologica può diventare anche innovazione psicologica.Il relatore ha presentato una rassegna di alcuni casi d’uso psicotecnologici, come le psicotecnologie di telecommunication, wellbeing, playful, assessment, psychodiagnostics, emotive, trasformative e molte altre.
L’uso delle tecnologie digitali è importante non solo per sintonizzarsi con linguaggio contemporaneo, ma anche per aumentare il grado di coinvolgimento del paziente accrescendo la motivazione e l’alleanza terapeutica e riducendo il tasso di dropout. La realtà virtuale, in particolare, è in grado di aumentare l’esperienza percettiva, emotiva, cognitiva e metacognitiva del paziente al fine di ottenere materiale prezioso sul quale lavorare. Il docente ha illustrato alcuni interessanti progetti di realtà virtuale per la pratica psicologica che sta sviluppando, come “Covidfeelgood”, sviluppato per gestire lo stress psicologico legato al Covid-19.
Infine, il dott. Bernardelli ha ricordato alcune delle sfide culturali per la professione del futuro:
- la disponibilità di percorsi formativi strutturati in psicologia digitale;
- l’adozione stabile delle tecnologie più idonee nella pratica clinica;
- la progettazione di psicotecnologie con team multidisciplinari;
- la stesura di linee guida da parte degli ordini professionali e di norme che regolino l’uso di queste tecnologie, potenzialmente dannose, ma che possono garantire grandi benefici.
Il dott. Brighetti, invece, si è concentrato soprattutto sugli aspetti teorici e sulle basi biologiche della condizione di multisensorialità in realtà virtuale, presentando una panoramica degli studi che si trovano in letteratura. Il relatore ha spiegato come, affinché accada il fenomeno illusorio in realtà virtuale, ossia il soggetto sottoposto a stimolazioni di vario genere riesca ad identificarsi con un ambiente diverso da quello in cui si trova, è necessario che si attivino varie basi neurali.
Imm. 2 – Dott. Gianni Brighetti
Alcuni autori sostengono che sia possibile avviare qualsiasi modificazione della percezione attraverso la realtà virtuale, con tecnologie sempre più sofisticate. Questi stati illusori possono trasportarci in luoghi diversi da quelli in cui siamo collocati e darci l’impressione che ciò che sta accadendo nella realtà virtuale sia reale.
Messaggio pubblicitario Le attività del cervello che facilitano le illusioni della realtà virtuale sono essenzialmente di tipo bottom up: deve esserci coerenza tra ciò che vediamo e ciò che risiede nella nostra memoria, dobbiamo credere che le informazioni siano vere e rapportabili al mondo che conosciamo. Questo è facilitato dal fatto che non si tratti solo di stimolazioni visive, ma anche di altro genere. Quando si cerca di simulare le percezioni del mondo esterno coinvolgendo più apparati,la realtà virtuale risulta sempre più credibile. Per entrare in un mondo virtuale che sia il più possibile realistico, questo mondo deve essere più ricco possibile e coinvolgere non solo la vista, ma anche altri sensi.
L’intervento si è concluso con la spiegazione di un caso clinico da parte della dott.ssa Borlimi. La relatrice ha illustrato il caso di una studentessa che lamentava alcune difficoltà nel portare a termine il suo percorso universitario. La ragazza mostrava le caratteristiche tipiche del perfezionismo: paura di fallire, di non controllare le sue emozioni, eccessivo evitamento del danno, ricerca dell’approvazione dei genitori e costanti sforzi per ottenerla.
Imm. 3 – Dott.ssa Rosita Borlimi
La studentessa è arrivata in consultazione 4 settimane prima della discussione della tesi. Solo il pensiero di questo evento le causava ansia, rimuginio e molti timori, per cui la ragazza metteva in atto una serie di evitamenti che non le permettevano di sperimentarsi e creavano nuove memorie antagoniste e inibitorie. Il poco tempo a disposizione prima della sessione di laurea non ha permesso di applicare il protocollo CBT, così la docente si è avvalsa della realtà virtuale. Sono state pianificate delle esposizioni con lo scopo di disconfermare le credenze e i pensieri disfunzionali e aumentare il senso di autoefficacia.
Dopo una prima esposizione in laboratorio, è stato consegnato un visore alla paziente con il quale esercitarsi nella discussione della tesi. Per rendere l’esperienza più realistica possibile, sono stati stimolati più apparati sensoriali: la vista con un filmato a 360° della folla, l’udito con rumori di brusio e la dimensione propriocettiva chiedendo alla ragazza di indossare le scarpe con il tacco che avrebbe indossato il giorno della laurea. L’intervento ha avuto l’effetto desiderato: è stato misurato un progressivo decremento del tempo di recovery e la studentessa è riuscita a laurearsi.
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