I giorni dell’abbandono racconta come in molte persone che vivono l’abbandono con un sentimento di terrore è proprio l’accettazione dell’evento, impossibile da scongiurare, a permettere di riappropriarsi di nuove risorse personali.
I giorni dell’abbandono
Film di Roberto Faenza. Interpretato da Luca Zingaretti, Margherita Buy, Goran Bregovic. Italia 2005. Tratto dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante.
Trama
Olga, moglie e madre di due figli, viene abbandonata all’improvviso dal marito per una donna più giovane. Per lei inizia un periodo doloroso che la fa sprofondare nella disperazione, che la porta a non mangiare più e nemmeno a dormire, che rischia di farle perdere progressivamente il senso della realtà e del suo rapporto affettivo con i figli. Ma l’incontro con un musicista solitario che vive nel suo stesso palazzo smuove qualcosa. Olga vive un percorso interiore che la porta a capire che sta impazzendo per l’amore perso, scopre cosa significa essere imprigionata nel dolore, essere abbandonata, ma riesce a liberarsi e torna a vivere, guardando con speranza al futuro.
Motivi di interesse
Il film mostra le reazioni complesse nei confronti di un evento traumatico improvviso come l’abbandono. Il marito di Olga la lascia. Non c’è una vera e propria crisi tra loro. È preso da un “improvviso vuoto di senso”.
L’incomprensibilità dell’evento lo rende ancor meno accettabile, come spesso accade non è spiegabile, coglie di sorpresa, è senza ragioni. È per questo che l’incredulità e la rabbia cedono il passo al senso di colpa e la tristezza presto arriva ad avvolgere la vita e a scandire un tempo sempre uguale, privo di senso.
Olga lascia un fiore sulla tomba di Otto, il suo cane e rivolgendosi a lui:
“Tu vuoi sapere come sto?
Sto come una pianta senza acqua. Le donne senza amore muoiono da vive. Me lo diceva sempre mia madre quando vedeva passare la Poverella…
Aveva ragione, sai?”.
Olga non avrebbe mai desiderato diventare come la poverella del suo quartiere d’infanzia che la notte svegliava tutto il paese a forza di piangere per il dolore di essere stata lasciata.
Quel dolore l’aveva disgustata. Eppure prova ora lo stesso dolore fatto di notti insonni, di vuoto nero e oscuro, di un limite che prelude ad un lasciarsi morire, di rabbia per chi la guarda con occhi compassionevoli e nei confronti di se stessa che non riesce a prendersi cura di sé.
Eppure proprio quando la protagonista inizia a prendere consapevolezza che “deve reimparare il passo tranquillo di chi crede di sapere dove sta andando e perché” inizia ad aprire gli occhi, a guardare il mondo circostante, si riappropria della forza e dell’autodeterminazione che le consentono di muoversi verso una felicità possibile, fatta di sussulti di gioia e picchi di dolore, di piacere e di sofferenza, di storie che si concludono e di nuove che nascono. Olga finalmente guarda il musicista che la corteggia con occhi diversi, finalmente lo vede.
In fin dei conti in molti pazienti che vivono l’abbandono con un sentimento di terrore è proprio l’accettazione dell’evento, impossibile da scongiurare, che permette di riappropriarsi di nuove risorse personali.
Indicazioni per l’utilizzo
La sequenza di scene che propone I giorni dell’abbandono è utile per incrementare la consapevolezza e motivare al cambiamento.
Le ripercussioni emozionali possono rappresentare un’ottima validazione dei vissuti del paziente e la conclusione può allargare la prospettiva limitata di chi non vede una via d’uscita percorribile. Le fasi dell’elaborazione di una perdita vengono ben rappresentate nella narrazione e possono essere un riferimento per una riflessione condivisa con il paziente.
Trailer
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BIBLIOGRAFIA
Coratti, B., Lorenzini, R., Scarinci, A., Segre, A., (2012) Territori dell’incontro. Strumenti psicoterapeutici, Alpes Italia, Roma.
Un articolo di Antonio Scarinci, pubblicato originariamente su State Of Mind, il Giornale delle Scienze Psicologiche