Rimandare un compito ingrato o una decisione difficile capita a tutti, soprattutto agli studenti, ma se diventa un’abitudine può degenerare in un disturbo in grado di danneggiare la performance scolastica, il lavoro e le relazioni: una ricerca a cui hanno partecipato docenti e ricercatori della Sigmund Freud University di Milano ha indagato le basi psicologiche della procrastinazione e cioè di quell’attitudine a rimandare a oltranza l’inizio o il completamento di un compito o la presa di una decisione. In particolare lo studio ha analizzato il ruolo degli atteggiamenti metacognitivi del soggetto, della sua capacità di controllo dell’attenzione e dello stress a cui è sottoposto. Il legame tra questi elementi e l’attitudine a rimandare è noto, ma questo studio è il primo a cercarne le relazioni interne.
Dal punto di vista psicologico, secondo la Teoria Cognitivo – Comportamentale (CBT), la procrastinazione è un malfunzionamento della capacità di decisione e della sfera emotiva e l’area cerebrale interessata è la corteccia frontale. I soggetti più a rischio sono caratterizzati da personalità ansiosa, perfezionismo, bassa autostima, paura del fallimento e tendenza all’auto sabotaggio. Una categoria particolarmente esposta è quella degli studenti universitari, nei quali l’incidenza è del 70% contro il 20% di una popolazione adulta standard. Il processo della procrastinazione in genere si innesca con un pensiero intrusivo sulla sgradevolezza o difficoltà dell’impegno da rispettare che, in un soggetto predisposto o attivato negativamente, genera una prima risposta ansiosa legata alla paura del fallimento. In questa fase la scelta di rimandare il compito sgradito è un tentativo del soggetto di ridurre l’ansia connessa a quel compito, ma successivamente finisce per intensificare l’ansia e, di conseguenza, rinforzare la procrastinazione. L’ipotesi dei ricercatori è che le metacognizioni, la scarsa capacità di controllare l’attenzione e lo stress abbiano un ruolo determinante nel creare questo circolo vizioso.
Un aiuto dalla Terapia Metacognitiva
La ricerca “The Contribution of Metacognitions and Attentional Control to Decisional Procrastination” è stata condotta da Bruce A. Fernie, Ann-Marie McKenzie, Ana V. Nikcevic, Gabriele Caselli e Marcantonio Spada ed è stata pubblicata nel 2015 sulla rivista “Science + Business Media” della casa editrice scientifica Springer. Lo studio ha coinvolto 129 studenti britannici, ai quali sono stati somministrati quattro diversi questionari per misurare rispettivamente il livello di stress, gli aspetti metacognitivi, la capacità di autocontrollare l’attenzione e, naturalmente, la propensione alla procrastinazione. Attraverso una serie di domande, ognuno di questi quattro elementi è stato a sua volta scomposto in una serie di indicatori. Successivamente, i ricercatori hanno incrociato i dati raccolti per trovare le relazioni interne tra le variabili.
I risultati hanno confermato che l’attitudine a rimandare in modo patologico i propri impegni è fortemente legata a una attivazione emotiva negativa, a una impostazione metacognitiva caratterizzata dall’opposizione rigida ai pensieri su aspetti incontrollabili o pericolosi, da una bassa fiducia nelle proprie capacità cognitive e da una scarsa capacità di controllare l’attenzione. Più precisamente, le tre variabili più fortemente legate alla procrastinazione sono una scarsa fiducia cognitiva, una bassa capacità di concentrarsi su un compito nuovo e, naturalmente, alti livelli di stress. Lo stress in particolare si è confermato un fattore determinante nell’innescare e aggravare il meccanismo, mentre le metacognizioni e lo scarso controllo dell’attenzione lo alimentano fino a farlo diventare patologico. Dal punto di vista clinico, la ricerca apre interessanti prospettive sulle possibilità di ridurre l’attitudine patologica alla procrastinazione attraverso le Terapie Metacognitive, come la Consapevolezza Distaccata (Detached Mindfulness) e la Tecnica di Allenamento dell’Attenzione (Attention Training Technique).
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