La timidezza non è certo una malattia: senza voler scomodare i grandi timidi della storia, da Albert Einstein ad Abramo Lincoln, da Gandhi a Beethoven, il mondo è pieno di persone riservate che vivono, lavorano e amano normalmente, seppur lontano dalle luci della ribalta. È però stato dimostrato che la timidezza infantile ha basi genetiche e che, se non affrontata nel modo giusto, può favorire l’insorgere di disturbi d’ansia sociale. La ricerca “Shared genetic influences among childhood shyness, social competences, and cortical responses to emotions” di M. Battaglia, G. Michelini, E. Pezzica, A. Ogliari, C. Fagnani, M.A. Stazi, E. Bertoletti e S. Scaini ha dimostrato che esiste una connessione tra la timidezza di un bambino, le sue competenze sociali e la sua risposta cerebrale agli stimoli emotivi visivi.
Potenziali evocati visivi su un gruppo di gemelli
La ricerca, a cui ha partecipato la nostra ricercatrice Simona Scaini (Vice-direttore del corso di Laurea triennale in Psicologia alla Sigmund Freud University) ha utilizzato le tecniche dei potenziali visivi evocati (o ERPs) e della analisi multivariata su un gruppo di 200 bambini gemelli di circa 9 anni, selezionati nelle province di Milano e Monza Brianza. A tutti loro sono stati mostrati dei volti di coetani con espressioni felici, neutre o arrabbiate, misurandone la risposta a livello cerebrale attraverso un encefalogramma. Un aspetto scientifico importante è stato riuscire a isolare in modo definito la reazione alla vista dell’emozione. Timidezza e competenze sociali sono state vautate secondo i modelli più diffusi in letteratura.
Una covarianza con basi genetiche
Lo studio ha dimostrato che esiste una covarianza tra timidezza infantile, competenze sociali e risposta stimoli emotivi visivi: allo stato attuale è il primo a dimostrare questo legame. In particolare è stata osservata una risposta di tipo negativo tardiva a livello corticale, a circa 400-600 millisecondi dalla vista di un’espressione felice, neutra o arrabbiata. Il risultato prova che esiste una struttura comune che lega la timidezza di un bambino alle sue competenze sociali e al tipo di risposta cerebrale agli stimoli visivi di tipo socioemotivi. E che tale schema unitario può essere a sua volta ricondotto a una base genetica. La ricerca è stata pubblicata nell’agosto del 2017 sul Journal of Experimental Child Psychology.