Il percorso Don’t worry per ridurre il rimuginio

Cos’è il rimuginio?

Preoccuparsi è un’esperienza comune a tutti gli esseri umani, vissuta anche da chi non soffre di alcun disturbo psicologico: specialmente quando uno scopo per noi importante è messo a rischio, provare una certa dose di preoccupazione è più che normale, e non fa altro che mandarci il segnale “Attenzione: se vuoi che una cosa per te importante venga realizzata, devi fare qualcosa a riguardo!”. La maggior parte delle persone, quando si trova ad affrontare un pensiero o una situazione che genera ansia (ad esempio, la possibilità che un collega universitario non abbia inviato l’elaborato di gruppo al professore, anche se si era proposto di farlo), può rispondere inizialmente con un po’ di preoccupazione, per poi abbandonarla quando diventa eccessivamente stressante, magari per ripensarci in un secondo momento quando si avranno più informazioni a disposizione (ad esempio, dopo essersi confrontati con il gruppo di colleghi con cui si è scritto l’elaborato). Tuttavia, alcuni di noi tendono a trascorrere molto tempo a preoccuparsi, trovando difficoltà a interrompere le proprie preoccupazioni una volta che si è iniziato a pensarci, sfociando così nel cosiddetto rimuginio ansioso: quest’ultimo può essere definito come uno stile di pensiero negativo, analitico e ripetitivo che si attiva in seguito alla percezione di una minaccia ipotetica circa il futuro, allo scopo di trovare una soluzione in anticipo o “prepararsi al peggio” (Caselli, 2018; Caselli et al., 2017). Questo processo si accompagna a tutti i disturbi che presentano una componente ansiosa, in particolar modo il disturbo d’ansia generalizzata (American Psychiatric Association, 2013), nel quale si attiva in relazione a diverse aree di vita, come la salute, il lavoro e le relazioni.

Quando diventa perseverante e cronico, il rimuginio ha delle conseguenze deleterie per il nostro benessere e per le nostre prestazioni cognitive, legate al fatto che – invece che mitigare la nostra ansia – il rimuginio non fa altro che mantenerla viva, mettendoci in uno stato di allerta continua (Caselli et al., 2017). Esso può infatti favorire una serie di spiacevoli sintomi fisici come tensione muscolare (Hazlett et al., 1994), insonnia (Watts et al., 1994), irrequietezza, mal di testa (Nisita et al., 1990) e dolore cronico (Spada et al., 2016). Rimuginare, inoltre, è un’operazione mentale complessa che “pesa” sulla nostra memoria di lavoro (Hayes et al., 2008), impattando negativamente sulla nostra capacità di concentrazione e ostacolando una risoluzione efficace dei problemi.

Le credenze metacognitive

Ma perché alcune persone riescono a controllare la loro preoccupazione, interrompendola quando sta diventando fonte di stress eccessivo, mentre altre rimangono intrappolate nel vortice del rimuginio? Secondo la Terapia Metacognitiva (Wells, 2012), la risposta risiede nelle credenze metacognitive, o metacredenze, ovvero convinzioni che le persone hanno sulla propria mente, sui suoi prodotti (ad esempio, pensieri ed emozioni) e sulle sue funzioni (ad esempio, pensiero e attenzione). Queste possono essere suddivise in metacredenze positive e metacredenze negative. Le prime riguardano l’utilità dell’utilizzare e del rimanere coinvolti nel rimuginio, ad esempio “Rimuginare aiuta a essere preparati e a trovare soluzioni”, favorendo così l’utilizzo di questa strategia in modo perseverante per affrontare una preoccupazione circa il futuro. Le metacredenze negative, invece, fanno riferimento all’incontrollabilità del rimuginio (“Non riesco a controllare la mia preoccupazione”) e alla sua potenziale pericolosità (“Aiuto, preoccuparmi così tanto mi farà impazzire!”): quando un individuo presenta questo tipo di convinzioni, rischia di iniziare a preoccuparsi anche della sua stessa preoccupazione, rimanendo intrappolato in un circolo vizioso che sembra senza via d’uscita. Buone notizie però: il rimuginio si può controllare eccome!

Un esempio pratico

Riprendiamo l’esempio fatto precedentemente. Il primo “anello della catena” del rimuginio è la percezione di una minaccia ipotetica circa il futuro: E se il mio collega non avesse inviato l’elaborato al professore? Se possiedi delle convinzioni circa l’utilità del rimuginio per risolvere i problemi, ecco allora che potresti iniziare a preoccuparti rispetto a questa possibilità, considerando ogni eventualità negativa immaginabile, in modo analitico e ripetitivo: Si era proposto di farlo lui, ma non ha detto di averlo fatto, magari potrebbe essersi dimenticato. E se glielo chiedessi? Magari poi si sente controllato e mi dice di sì solo per farmi stare tranquillo. Però non capisce che se mi interesso è perché se non l’ha inviato ci andiamo di mezzo anche noialtri del gruppo… non è giusto che prendiamo tutti un brutto voto per colpa sua. La prossima volta dovrei propormi io di inviare l’elaborato per essere più sicuro. E se possiedi anche delle convinzioni relative al fatto che non sei in grado di controllare la preoccupazione, ma che rimuginare così tanto può essere dannoso, potresti iniziare a preoccuparti anche del fatto che ti stai preoccupando (senza tuttavia smettere di farlo): Ecco che ricomincio a preoccuparmi… aiuto, sento il cuore a mille, mi sembra di impazzire! Però devo assolutamente capire come risolvere questa cosa. È più forte di me, non posso smettere di pensarci finchè non ho capito cosa fare per la questione dell’elaborato. Voglio prendere un bel voto, ma non vorrei rovinare il rapporto con il mio collega, e se poi la prossima volta mi mette i bastoni tra le ruote? […]

In che cosa consiste il percorso Don’t worry?

Se senti di non avere il controllo sul tuo rimuginio, il percorso Don’t worry potrebbe fare al caso tuo. Si tratta di un percorso di supporto psicologico rivolto ai giovani di età compresa tra i 18 e i 30 anni, durante il quale imparerai a riconoscere e mettere in discussione le credenze che contribuiscono a mantenere viva la preoccupazione, apprendendo inoltre una serie di tecniche pratiche utili per ridurre il rimuginio.

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A cura di Silvia Carrara, MSc Sigmund Freud University di Milano e tirocinante presso Studi Cognitivi.


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Bibliografia

American Psychiatric Association. (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th edition). American Psychiatric Association. https://doi.org/10.1176/appi.books.9780890425596

Caselli, G. (2018). Metacognitive Therapy. In G. Melli & C. Sica (A c. Di), Fondamenti di Psicologia e Psicoterapia Cognitivo Comportamentale. Erickson.

Caselli, G., Ruggiero, G. M., & Sassaroli, S. (2017). Rimuginio. Teoria e terapia del pensiero ripetitivo. Raffaello Cortina Editore.

Hayes, S., Hirsch, C., & Mathews, A. (2008). Restriction of working memory capacity during worry. Journal of Abnormal Psychology, 117(3), 712–717. https://doi.org/10.1037/a0012908

Hazlett, R. L., McLEOD, D. R., & Hoehn-Saric, R. (1994). Muscle tension in generalized anxiety disorder: Elevated muscle tonus or agitated movement? Psychophysiology, 31(2), 189–195. https://doi.org/10.1111/j.1469-8986.1994.tb01039.x

Nisita, C., Petracca, A., Akiskal, H. S., Galli, L., Gepponi, I., & Cassano, G. B. (1990). Delimitation of generalized anxiety disorder: Clinical comparisons with panic and major depressive disorders. Comprehensive Psychiatry, 31(5), 409–415. https://doi.org/10.1016/0010-440X(90)90025-N

Spada, M. M., Gay, H., Nikčevic, A. V., Fernie, B. A., & Caselli, G. (2016). Meta‐cognitive beliefs about worry and pain catastrophising as mediators between neuroticism and pain behaviour. Clinical Psychologist. https://doi.org/10.1111/cp.12081

Watts, F. N., Coyle, K., & East, M. P. (1994). The contribution of worry to insomnia. British Journal of Clinical Psychology, 33(2), 211–220. https://doi.org/10.1111/j.2044-8260.1994.tb01115.x

Wells, A. (2012). Terapia metacognitiva dei disturbi d’ansia e della depressione (G. Melli, A c. Di). Eclipsi.