In vacanza tendiamo a bere più alcol perché aumentano le occasioni sociali e diminuiscono le inibizioni. Non c’è niente di male in un aperitivo in spiaggia o in un amaro alle erbe in montagna, ma quando il consumo di alcolici supera una certa soglia diventa un problema. La buona notizia è che la psicologia può venirci in aiuto con qualche consiglio pratico, oltre che con programmi terapeutici specifici.
Il legame scientifico tra alcol e vacanze è talmente noto che lo conoscono bene anche i pubblicitari: non a caso le pubblicità di birra, vino e liquori aumentano in corrispondenza dei periodi di festa come le ferie estive o invernali, oltre che di occasioni particolari come gli eventi sportivi. Cercando su Google le keywords “alcohol” e “holiday” otteniamo oltre 650 milioni di risultati, all’interno dei quali, per fortuna, ci sono anche articoli scientifici autorevoli. “Il fattore di rischio non è tanto la vacanza in sé, ma l’aumento di tempo sociale e, in generale, delle occasioni di festa in orario serale – spiega Gabriele Caselli (Vice-direttore del Dipartimento di Psicologia di Milano della Sigmund Freud University). “Dal punto di vista psicologico – continua Caselli – il rischio di consumo eccessivo è dovuto soprattutto a componenti personali: chi già tende a bere troppo può diventare più vulnerabile in contesti come le vacanze e cioè quando ci sono più occasioni per bere, più accessibilità agli alcolici e una minore percezione delle conseguenze dannose sulla propria vita perché il giorno dopo non si deve andare a scuola o al lavoro”. Se i fattori sono soprattutto psicologici, che tipo di aiuto può dare la psicologia per bere senza esagerare?
I consigli della psicologia per bere in modo corretto
Le scienze psicologiche possono fornire consigli pratici molto utili per aiutarci a godere un buon cocktail senza rischiare di sviluppare una dipendenza: “In questi anni stiamo testando una nuova strategia di prevenzione basata sull’automonitoraggio in tempo reale durante il consumo di alcool – spiega Gabriele Caselli – lo psicologo o lo psicoterapeuta, in altre parole, aiutano il soggetto a imparare a valutare la quantità di alcool che sta consumando e, soprattutto, a monitorare con attenzione gli effetti sulle sue condizioni psico-fisiche, bicchiere dopo bicchiere”. Il metodo ha solide basi scientifiche poiché si basa sul potenziamento dei meccanismi “sani” di autoregolamentazione che un soggetto non dipendente da alcol è in grado di mettere in campo spontaneamente, ma che diventano più deboli in una persona con dipendenza. “In pratica insegniamo a prestare attenzione all’impatto che l’alcool ha sul proprio stato fisico e mentale – continua Caselli – in modo da regolare in modo più fine il consumo ed evitare gli eccessi”.
Dal punto di vista medico, infatti, l’alcool rimane un veleno che il corpo riesce a metabolizzare molto lentamente: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito la dose giornaliera in un bicchiere di birra o vino al giorno, oltre può essere un eccesso, soprattutto se l’abitudine è protratta nel tempo. Un fenomeno ancora più problematico è il Binge Drinking e cioè il consumo di quantità elevate di alcol in poco tempo: ad esempio più di due cocktail in due ore. Dal punto di vista clinico l’aspetto più problematico da risolvere nella terapia delle dipendenze da alcol è il Craving e cioè quel desiderio talmente intenso e pervasivo da risultare doloroso.
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